Eni: la responsabilità del governo/Eni: the government’s responsability

Secondo i magistrati il capo dell’ufficio legale del più grande gruppo italiano, controllato dallo Stato italiano, avrebbe depistato le indagini che vedono l’amministratore del gruppo rinviato a giudizio per corruzione internazionale. Le presunte azioni criminose del capo dell’ufficio legale avrebbero avuto anche il fine di bloccare i tentativi di fare chiarezza da parte dei consiglieri Eni Karina Litvak e me, nominato in consiglio dallo stesso Governo. Se queste accuse dovessero essere confermate in giudizio, si tratterebbe del più grave scandalo della storia della Repubblica Italiana: uno dei massimi dirigenti di un’impresa controllata dallo Stato che depista le indagini per rendere inefficaci i controlli sulla società cui appartiene e permetterle di agire come entità autonoma, al di fuori della legge. È responsabilità del Governo richiedere che Eni nomini immediatamente un commissario esterno indipendente, di fiducia del Governo stesso, con pieni poteri di indagine al fine di rassicurare i cittadini italiani che, non solo a parole, ma anche nei fatti, sia lo Stato a controllare l’Eni e non l’Eni lo Stato. A rischio non c’è solo l’immagine dell’Italia, ma la sua stessa democrazia.


According to the prosecutors, the head of legal of the largest Italian group, controlled by the Italian State, would have sidetracked the investigation that sees ENI CEO indicted for international corruption. The alleged criminal actions of the head of legal would also have had the purpose of blocking the transparency effort of two Eni board members, Karina Litvak and myself, appointed to ENI’s board by the government. If these allegations were to be confirmed in court, it would be the most serious scandal in the history of the Italian republic: one of the top executives of a state-controlled company who sidetracks the investigations to undermine the control of the company he belongs to, enabling his company to operate unchecked, outside of the law. It is the government’s responsibility to request that Eni immediately appoints an independent external investigator, chosen by the government, in order to reassure Italian citizens that, not only de jure, but also de facto, the State controls Eni and not Eni the State. At risk there is not only the image of Italy, but its own democracy.

Partecipazioni statali: quali obiettivi deve porsi il governo?

Testo dell’articolo pubblicato il 19.02.2017 su “Il Sole 24 Ore”, nella rubrica “Alla luce del Sole”. 

Anche questa primavera, come ogni tre anni, impazza il toto-nomine per le imprese partecipate dallo Stato. Si va dai pettegolezzi alle indagini giudiziarie, si parla di tutto tranne che della cosa più importante: quali obiettivi il Governo vuole conseguire attraverso le sue partecipate?
Io sarei favorevole a una dismissione totale di tutte le partecipazioni statali, ma anche coloro che non lo sono devono convenire che non ha senso detenere delle imprese senza avere degli obiettivi strategici. È solo per garantire dei posti da distribuire ai sostenitori più facoltosi e munifici del leader del momento? Anche per fugare questi dubbi è doveroso che il Governo identifichi quali sono questi obiettivi strategici. Solo da questi obiettivi può discendere l’individuazione delle persone adatte a realizzarli. È la prima domanda che qualsiasi “head hunter” pone al cliente.

Può lo Stato intervenire nella direzione di imprese quotate? Come Elkann interviene su Fca, Del Vecchio su Luxottica, e la famiglia De Agostini su Lottomatica non si vede perché lo Stato non possa intervenire sulle aziende in cui ha un pacchetto di controllo, purché lo faccia nei modi appropriati. Gli interventi non devono essere pressioni occulte sugli amministratori delegati. Il governo deve tracciare delle linee guida chiare e comunicarle sia agli elettori che al mercato.

“Perché un’impresa partecipata dallo Stato non dovrebbe introdurre delle linee guida più severe sull’inquinamento?”

La teoria economica ci dice che un’impresa a controllo pubblico ha un significato in presenza di quelle che gli economisti chiamano esternalità, ovvero situazioni in cui l’attività di produzione influenza il benessere di soggetti diversi dalle parti contraenti (dipendenti, consumatori, fornitori, etc.). Il tipico esempio di esternalità è l’inquinamento. La produzione di pentole con il rivestimento in teflon o di tessuti Gore-tex richiede l’uso di sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS). Se non trattate propriamente queste sostanze cancerogene finiscono nelle falde acquifere, come sta succedendo in 21 comuni del Veneto. A pagare i costi di quest’inquinamento sono indistintamente tutti gli abitanti. Perché un’impresa partecipata dallo Stato non dovrebbe introdurre delle linee guida più severe sull’inquinamento? Come oggigiorno molte imprese hanno controlli sulla filiera dei fornitori, per evitare che facciano uso di lavoro minorile, così le imprese a partecipazione statale dovrebbero avere un controllo sull’inquinamento (perlomeno in Italia) dei propri fornitori.
Mi si dirà che questo svantaggia le imprese a partecipazione statale nella competizione di mercato. È vero. Ma questo discorso vale per qualsiasi politica industriale che faccia deviare un’impresa dalla massimizzazione del profitto. Siamo daccapo: se così è, vendiamole che è meglio. Per di più queste imprese, nonostante gli sforzi dell’Unione Europea, ricevono dei sussidi dallo Stato. Per esempio Saipem ha trovato nella Cassa Depositi e Prestiti un provvidenziale compratore, disposto a sacrificare 450 milioni per mantenerne il controllo nelle mani dello Stato. Che cosa hanno ricevuto i contribuenti in cambio di questi 450 milioni?

L’altra importante esternalità è la corruzione, non solo quella nazionale, ma anche quella internazionale. Proprio Saipem ha l’invidiabile primato di essere stata la prima società al mondo a essere condannata per corruzione internazionale con una sentenza passata in giudicato. Altre imprese a partecipazione statale stanno competendo nella “nobile” gara per il secondo posto.

“È molto difficile che una parte delle tangenti pagate all’estero non finisca nelle tasche di qualche manager o faccendiere locale. La corruzione internazionale alimenta la corruzione nazionale”

Se pensiamo che la corruzione all’estero non ci riguardi, facciamo un grosso errore. Innanzitutto, la corruzione finanzia in molti Stati africani dittatori spietati che si arricchiscono smodatamente affamando la loro popolazione. Come il fenomeno dei migranti ci ricorda, il benessere dell’Africa è anche il nostro benessere. Ma poi è molto difficile che una parte delle tangenti pagate all’estero non finisca nelle tasche di qualche manager o faccendiere locale. La corruzione internazionale alimenta la corruzione nazionale. Perché le imprese partecipate dallo Stato non dovrebbero essere in prima linea nella battaglia contro questo cancro? Invece sembrano essere nell’occhio del ciclone.

Contrariamente a quanto si pensi, la grande corruzione è molto più facile da combattere che la piccola: basta controllare i flussi di denaro. La buona pratica internazionale impone una rigorosa due diligence per tutti i pagamenti, ma particolarmente quelli riguardanti commissioni di intermediazione. La decisione spetta al consiglio di amministrazione, e chi sbaglia paga: in termini di carriera, se non penalmente. Non solo se è provata la corruzione (che è sempre molto difficile da provare), ma anche solo se non è stata seguita la procedura. Le imprese a partecipazione statale si sono dotate di una simile procedura? Una procedura è inutile (anzi dannosa) se non viene fatta rispettare: fornisce solo l’illusione del controllo. La vera domanda è: quante sanzioni sono state inflitte dalle partecipate dello stato per violazioni di questa procedura?

Nei prossimi giorni il senatore Mucchetti, presidente della Commissione Industria del Senato, ascolterà i vertici delle principali aziende partecipate dallo Stato. Ci piacerebbe che ponesse queste domande. E soprattutto che pretendesse delle riposte esaustive. Altrimenti che ci teniamo a fare queste partecipazioni?


Qui gli altri articoli della rubrica “Alla Luce del Sole”

La Lezione Indiana sull’Abolizione del Contante

Testo dell’articolo pubblicato il 20.11.2016 su “Il Sole 24 Ore”, nella rubrica “Alla luce del Sole”.

Il premier indiano Narendra Modi è stato eletto con un programma di riforme, tra cui spiccava la lotta alla corruzione. Ma ottenere risultati in questo campo è difficilissimo. A mali estremi, Modi ha deciso di applicare estremi rimedi. L’8 novembre ha annunciato che le banconote da 500 e 1.000 rupie (rispettivamente 7 e 14 euro) perdevano corso legale con effetto immediato. I possessori potevano depositarle in banca o – in quantità molto limitata – potevano scambiarle per banconote nuove o di piccolo taglio.  Continua a leggere

Una Regola per Combattere la Corruzione

Testo dell’articolo pubblicato il 30.10.2016 su “Il Sole 24 Ore”, nella rubrica “Alla luce del Sole”.

A molti può sembrare l’ennesima inchiesta sulle tangenti, che si esaurisce con un patteggiamento. Ma l’operazione Amalgama, condotta in maniera congiunta tra la procura di Roma e quella di Genova, mette in luce un grande problema del nostro Paese: la contiguità tra la criminalità organizzata e pezzi di imprenditoria e amministrazione pubblica.

Basta guardare la lista degli indagati e arrestati: il figlio di un ex ministro, il figlio dell’ex ragioniere generale dello stato (nonché vicepresidente della Banca Popolare di Vicenza), due dirigenti di Salini Impregilo, e l’imprenditore calabrese Domenico Gallo che – secondo l’ordinanza del gip Cinzia Perroni – “risulta avere contatti con soggetti legati alla criminalità organizzata”.

Ci piacerebbe pensare che si tratti di un’eccezione. Purtroppo una ricerca recente condotta all’Università Bocconi ci dice che questa è la regola. In Lombardia (la cosiddetta capitale morale del Paese) il 34% delle imprese di ingegneria civile ha tra gli amministratori e soci almeno un indagato. Un quarto di questi è indagato per reati violenti o di sospetta origine mafiosa.

Lo stesso studio invita ad abbandonare la distinzione classica tra economia legale e quella criminale. Esiste una commistione che mina la nostra incolumità e la nostra economia. La nostra incolumità perché dalle intercettazioni si desume che i direttori dei lavori collusi autorizzavano costruzioni non a norma in cambio di commesse. Ci stupiamo poi se crollano i cavalcavia delle nostre autostrade? La nostra economia perché in un’impresa collegata alla criminalità organizzata la produzione non è il fine, ma solo il mezzo per riciclare denaro.

Poco importa che l’impresa sia efficiente, che cresca, basta che ricicli bene, senza farsi notare. In un mondo normale, imprese di questo tipo sarebbero costrette a uscire dal mercato a causa della concorrenza. Ma grazie ai finanziamenti illegali e alla corruzione degli appalti pubblici, le imprese criminali sopravvivono, minando la capacità di sopravvivenza di quelle legali. Come ha detto Paolo Ielo, procuratore aggiunto a Roma, la corruzione “diventa anche un ostacolo per la concorrenza del mercato”.

Bisogna imporre per legge la trasparenza totale nella proprietà finale almeno di tutte le società fornitrici della pubblica amministrazione e dei loro subfornitori

Com’è possibile arginare questo fenomeno? Lo stesso studio della Bocconi evidenzia come le infiltrazioni criminali siano grandemente aiutate dall’uso di società fiduciarie che occultano i reali proprietari. Nell’inchiesta Amalgama la maggior parte delle tangenti non era pagata in denaro, ma in commesse in appalti a società possedute – attraverso fiduciarie – da parte dei direttori tecnici dei cantieri.

Evitare questo è relativamente semplice. Basterebbe imporre per legge la trasparenza totale nella proprietà finale almeno di tutte le società fornitrici della pubblica amministrazione e dei loro subfornitori. Ovviamente questa trasparenza può essere aggirata con dichiarazioni false, ma se si aumentano le pene e si riduce l’iter per le condanne in caso di dichiarazione falsa, si riduce il problema. D’altra parte anche Al Capone fu incastrato per evasione fiscale di un bar di cui aveva rivendicato la proprietà.

Ma anche senza nuove leggi, questa dovrebbe essere una norma di buona gestione per ogni società dove il management è separato dalla proprietà. Se non si può sapere chi c’è dietro ai fornitori di un’impresa, quale garanzia abbiamo che il management non rubi? Per questo stupisce che in queste indagini finiscano dirigenti di imprese come Salini-Impregilo, una società quotata che nel suo sito dichiara di voler “contrastare la corruzione in ogni sua forma” e di adottare un sistema di Controllo Interno in “conformità ai principi introdotti dalle leggi anti-corruzione e dalle Best Practices di riferimento a livello internazionale”.

Salini-Impregilo richiede come precondizione per ogni transazione la totale trasparenza della proprietà delle controparti? Se sì, come è possibile che alcune delle sotto commesse siano state affidate a società possedute dai direttori dei cantieri che dovevano controllare i loro lavori? Se no, cosa aspetta ad adottare questa regola di trasparenza?


Qui di seguito i link ai precedenti articoli della Rubrica “Alla Luce del Sole”: 

La differenza tra reato finanziario ed errore contabile
–  La necessità di fare subito chiarezza sulla gestione del Sole
–  Una Democrazia senza una Stampa Indipendente non funziona
– State alla larga dai gestori figli di papà
– Un’assicurazione comune contro la disoccupazione per salvare l’Unione Europea
– Quale soluzione per il Monte Paschi?
– Crisi bancarie, chi non impara dalla storia le ripete
– Quel «tesoretto» della bad bank del Banco di Napoli
– Quante sofferenze si nascondono negli “incagli”?
– Cosa Insegnano ad Atlante le Sofferenze del Banco di Napoli 
– Le Operazioni di Sistema sono Aiuti di Stato?
– Aguzzate la vista
L’azione di responsabilità è fondamentale per ricostruire la fiducia nelle banche Italiane
Deutsche Bank e Monte Paschi: similitudini e differenze
– Salvare le banche per far ripartire l’economia
– L’importanza di un Buon Piano di Successione e il Ruolo del Consiglio di Amministrazione 
Le Occasioni Mancate dell’Ufficio Studi Bankitalia
– Cosa fare per evitare che il “decreto banche” diventi solo un regalo alle banche
– Le Assicurazioni, Atlante e la Tutela dei Risparmiatori
– Etica e integrità dei vertici per controllare i rischi 
– Le Responsabilità della Consob sulle Obbligazioni Subordinate
– Gli stipendi degli AD e quei paracadute troppo grandi