PREFAZIONE

Da Syriza in Grecia al Movimento 5 Stelle in Italia, dal Fronte nazionale in Francia allo United Kingdom Independence Party in Gran Bretagna e all’Alternative fur Deutschland in Germania, i movimenti antieuro (e spesso antieuropa) sono in crescita e, in alcuni casi, rischiano di diventare il primo partito nei rispettivi Paesi.
Dopo anni di retorica europeista, la retorica antieuropeista, ancora più violenta, domina la scena. Il «meraviglioso esperimento» — come lo definiva Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell’Europa — rischia di fallire. Il «sogno ricorrente che per dieci secoli è riapparso tra i popoli d’Europa: creare tra loro un’organizzazione per porre fine alla guerra e garantire una pace perenne» sembra trasformarsi in un incubo. Quella stessa Unione creata per favorire lo spirito europeo sta diventando una prigione, che fomenta l’odio etnico e i peggiori stereotipi. I tedeschi considerano i greci «pigri» (nonostante le statistiche ci dicano che il greco medio lavori più ore del tedesco medio) e i greci ricambiano chiamando i tedeschi «nazisti», anche se i neonazisti sembrano avere più seguito in Grecia che in Germania.
Al centro di queste inquietudini c’è la moneta unica.

Le tensioni che ha prodotto sembrano riecheggiare le battaglie di un tempo contro il sistema aureo. «Non dobbiamo crocefiggere l’umanità su una croce d’oro» sosteneva William Jennings Bryan, candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti nel 1896. E non dobbiamo crocefiggere il continente europeo sulla croce di una moneta unica, riecheggiano molti partiti populisti in Europa. Come il dibattito a favore o contro il sistema aureo, quello pro o contro l’euro è trasversale ai partiti tradizionali. Unisce i leghisti ai socialisti di Syriza, i lepeniani del Fronte nazionale ai sostenitori del Movimento 5 Stelle.

Dai tempi del dibattito americano sul bimetallismo, però, abbiamo imparato molto sui costi e i benefici dei diversi sistemi monetari. Purtroppo questa conoscenza non sembra permeare il dibattito corrente sull’euro. Pur riconoscendo le ragioni di un campo e dell’altro, non mi riconosco nei termini del dibattito: un dibattito che può essere cruciale per il futuro dell’Italia e dell’Europa.
I costi e i benefici di una moneta unica sono complessi e variano a seconda della situazione in cui il Paese si trova. Se fossi stato inglese, non avrei avuto dubbi a non entrare nell’euro; da italiano era una scelta ragionevole. Ma questo appartiene al passato: una cosa è essere favorevoli o contrari all’entrata nell’euro, un’altra è essere d’accordo con un’uscita dall’euro oggi, specialmente un’uscita unilaterale.
Per affrontare questi temi, dovrò travalicare i limiti dell’economia e addentrarmi nella storia e nella politica internazionale. Nonostante i miei tentativi di informarmi in queste materie, devo premettere che non sono un esperto né dell’una né dell’altra. Nella specializzazione delle discipline moderne c’è un trade off tra «non dire nulla precisamente» o «dire precisamente nulla» (nothing precisely o precisely nothing). Per evitare il secondo estremo, sono disposto a correre il rischio di incappare nel primo. Mi scuso fin d’ora con gli esperti se non ho reso debitamente giustizia a queste discipline.

Alla fine del libro non mi esimerò dal prendere una posizione, perché ritengo sia mio dovere farlo. Ma il libro non è stato scritto per portare avanti un’opinione, piuttosto l’opinione nasce come risultato delle riflessioni che la stesura del libro mi ha indotto a fare. La mia posizione è semplice: l’Europa così com’è non solo non è sostenibile, ma danneggia particolarmente il Sud del continente, cui l’Italia appartiene.
Credo che il progetto europeo sia ancora realizzabile, ma necessiti della consapevolezza dei rischi che una mancata riforma può provocare. Il progetto è salvabile solo a patto di riforme radicali in tempi brevi. Senza riforme, il progetto di un’Europa unita è destinato al fallimento. E se questa è la strada, prima lo ammettiamo meglio è. Negli anni Trenta fu la difesa a oltranza del sistema aureo che contribuì all’acuirsi della Grande depressione, all’avvento del nazismo e alla Seconda guerra mondiale. In periodi più recenti è stata l’ostinazione a mantenere la convertibilità del peso che concorse al default argentino del 2001.

In questo dibattito, le colpe più gravi sono l’indifferenza e l’ignavia. Spero che questo libro aiuti a evitare entrambe. Che si sia pro o contro l’euro, spero che questo libro fornisca non solo validi argomenti a favore della propria posizione, ma soprattutto stimoli di riflessione. In ballo c’è più che un’idea: c’è il destino di un Paese e di un intero continente.

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