Intervista a cura di Giuseppe Colombo, pubblicata su L’Huffington Post il 12.08.2016
Pil fermo al palo e debito pubblico al nuovo massimo storico, ma i problemi che attanagliano l’economia italiana travalicano la dimensione nazionale: la partita si gioca in Europa. È lì che “il governo Renzi ha sbagliato perché avrebbe dovuto ridiscutere la nostra posizione piuttosto che preoccuparsi di ottenere margini di flessibilità”. L’economista Luigi Zingales, professore alla University of Chicago Booth School of Business, legge così, in un’intervista all’Huffington Post, i dati resi noti oggi dall’Istat e dalla Banca d’Italia.
L’economia italiana piange: crescita nulla e un debito pubblico che aumenta invece di calare. Come lo spiega?
“I dati sono chiaramente preoccupanti: quello più preoccupante è il calo dell’export. L’export negli anni della crisi è stata la componente della domanda che ha sostenuto la nostra economia. In una fase in cui l’euro era più debole del dollaro, ci saremmo aspetti un aumento dell’export, non una riduzione”.
Cosa manca?
“C’è una carenza di domanda a livello europeo. Assistiamo a una deflazione, a livello europeo, che non sembra essere stata risolta dal quantitative easing e dalla Bce. Mi sembra che la Bce abbia sparato tutte le cartucce e a questo punto siamo di fronte alla necessità di avere una politica fiscale europea. Qui casca l’asino però perché la politica fiscale non c’è perché non c’è un governo europeo”.
Leggendo i dati dell’Eurostat, l’Italia sta peggio rispetto a molti Paesi europei: Germania, ma anche Spagna.
“Il problema di fondo è che l’Italia è in crisi da vent’anni. La Spagna ha avuto una grande crescita negli anni 2000 e poi una grande crisi. L’Irlanda ha ripreso a crescere a ritmi straordinari. Il nostro problema non dipende dal fatto che al governo ci sia Berlusconi, piuttosto che Letta o Renzi. C’è un problema di fondo. Per esempio molti si sono appigliati al fatto che bastava aumentare la flessibilità del lavoro, ma si è fatto e la situazione non è cambiata”.
Cosa servirebbe all’economia italiana?
“Serve quella che io chiamo la flessibilità del capitale, cioè la flessibilità della capacità di spostare gli investimenti e i capitali da imprese che oggi sono marginali a imprese che sono più dinamiche. Serve una maggiore capacità di crescere, che significa anche tagliare i rami secchi. Questa dinamicità in Italia si è persa ed è un grande ostacolo per la crescita”.
Cosa aggiungerebbe alla ricetta per guarire il malato Italia?
“Una riduzione generalizzata del costo di fare impresa. Uno va in Austria e costa molto meno, costa molto meno anche in Slovenia. Perché i nostri imprenditori devono stare in Veneto quando possono andare in Slovenia e stare molto meglio?”.
Qual è la freccia che è mancata nell’arco di Renzi?
“Il governo Renzi avrebbe dovuto cercare di ridiscutere la nostra posizione in Europa. Noi siamo in una situazione insostenibile. Un’Unione monetaria non è sostenibile senza una qualche forma di ridistribuzione fiscale”.
Il governo italiano in cosa ha sbagliato?
“Fino ad ora il governo italiano si è più preoccupato di ottenere margini di flessibilità piuttosto che ridiscutere la situazione dall’inizio. La Germania non ci sente: non solo ha negato la promessa di fare una garanzia unica sui depositi, ma ha imposto nuove condizioni e quando si vogliono imporre nuove condizioni significa che le cose non si vogliono fare. A questo punto ci dicano loro cosa sono disponibili a fare: se la risposta è niente, allora la sopravvivenza dell’area euro è in bilico”.
In politica economica Renzi si sta dimostrando una vera delusione. Fin dall’inizio la sua unica preoccupazione è stata apparire come colui che, finalmente, abbassa le tasse. Non si sta minamente occupando del modo attraverso il quale l’Italia fa impresa, a come orientare gli investimenti, verso quali settori strategici investire e come migliorare la produttività del lavoro. Il suo orizzonte temporale è l’approvazione della riforma costituzionale e le elezioni. La sua ambizione è non scontentare nessuno, dai proprietari di case ai lavoratori dipendenti.
Chiedere flessibilità è come chiedere metadone: un modo per dire sono uscito dalla crisi ma pronto per ritornarci.
PECCATO avevo aspettative completamente diverse!
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1) Flessibilità del capitale: bisogna spiegare bene dalle parti di Confindustria cosa vuol dire. Perdere un bel po’ di iscritti. Fino ad ora hanno lanciato sempre accorati appelli alle banche per tenere aperti i rubinetti e allentare i cordoni della borsa. In modo indifferenziato, creando una distorsione nella gestione del credito, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Questo è un punto che non vedo tanto approfondito nel dibattito generale. Il danno è stato più grande della perdita del capitale delle banche.
2) Germania: non fate troppo conto sul lancio di un salvagente! L’Italia è una cicala che vive al di sopra delle proprie possibilità. Non ci sono i margini di manovra politici per un intervento in tal senso. Non è proprio nelle corde del tedesco medio una cosa del genere.
3) Se dai dati del PIL della eurozona togliamo l’Italia, le cose non vanno poi tanto male! Spagna, Portogallo, Olanda oltre alla Germania, i dati sono buoni!
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