È la domanda che pone il giornalista Marco Cobianchi con un twitt, ma è una domanda che si sono posti in molti. Per questo mi sento in dovere di chiarire. Per farlo devo fare un passo indietro.
Perché è ragionevole che Padova e Venezia abbiano la stessa moneta, ma non Padova e Pechino? La risposta ce la dà Robert Mundell, premio Nobel in economia, nella teoria delle aree valutarie ottimali. L’idea è molto semplice. Esistono delle ovvie economie di scala ad avere una moneta comune. Perché dunque non dovrebbe esistere una sola moneta al mondo? Perché con un’unica moneta è difficile rispondere a degli shock localizzati. Immaginiamo che domani si scopra un’alternativa al petrolio.
Improvvisamente l’Arabia Saudita si troverebbe con un livello di prezzi assolutamente fuori mercato. Con dei cambi fissi, ci vorrebbero anni di recessione per far scendere i prezzi sauditi ad un livello tale da rendere i loro export competitivi. Con un cambio flessibile, una drastica svalutazione del Rial sarebbe in grado di risolvere il problema immediatamente, senza bisogno di anni di recessione.
Ovviamente se due economie sono molto simili (come l’Olanda e la Germania), la probabilità di shock che colpiscano un Paese ma non l’altro è molto bassa, e quindi è ottimale avere una moneta comune, indipendentemente da qualsiasi altra condizione. Anche laddove gli shock sono diversi (come tra il Texas ed il Massachusetts), la forte mobilità del lavoro permette di aggiustare i prezzi rapidamente. E quindi non è necessario avere una valuta diversa.
Tra Europa del Nord e del Sud, però, non ci sono né l’una né l’altra condizione. Non rimane che la terza: una qualche forma di redistribuzione fiscale. Questa redistribuzione non accelera l’aggiustamento, ma lo rende meno penoso. Pur avendo maggiore mobilità, anche gli Stati Uniti hanno numerosi meccanismi di redistribuzione fiscale. Tra cui una assicurazione contro la disoccupazione pagata in parte con fondi federali. Quando il Texas cresce e il Massachusetts è in crisi, le entrate fiscali dell’uno aiutano a pagare i sussidi alla disoccupazione dell’altro. Il trasferimento si inverte quando è il Texas in crisi ed il Massachusetts che cresce.
Ovviamente ci sono tante forme di redistribuzione fiscale. Ma la più semplice, la più rapida e la più efficace è sicuramente un’assicurazione federale contro la disoccupazione. Di qui il motivo per cui una sua introduzione renderebbe l’euro più sostenibile.
Tra l’altro un’assicurazione federale contro la disoccupazione avrebbe anche il vantaggio di rendere l’Europa più popolare. I disoccupati che riceveranno un assegno firmato dall’Unione Europea o simili avranno un maggiore apprezzamento per l’Europa, aumentando la sostenibilità politica dell’euro.
non so se lei ha già letto l’articolo che le citerò qui sotto.
http://www.linkiesta.it/semestre-europeo-chi-paga-eurobond
I punti di discussione ci sono e aspetto da parte Sua delle risposte a riguardo . Un grazie mille per l’attenzione. Carlo
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Prof. Zingales,
come lei ha ben citato una moneta diversa protegge dagli “shock locali”
Ora, mi spiega quale “shock” c’è stato nei paesi eurodeboli? quale evento avverso ha colpito italia ed altri mentre ha lasciato “indenni” gli altri? a me pare, che la crisi è stata (ed è) per molti aspetti globale. La concorrenza dei paesi a basso costo colpisce la manifattura sia di germania che italia. L’euro forte crea problemi di competitività sia ad italia che germania.
E penso sia ovvio che i problemi strutturali, non potendo essere risolti strutturalmente con il cambio flessibile, non possano nemmeno essere risolti con una politica alternativa, cioè i trasferimenti fiscali.
Secondo:
I trasferimenti fiscali, a me sembra, che pregiudichino di fatto la convergenza tra la zona A (“forte”) e la zona B (“debole”). Almeno, per quanto riguardi fenomeni strutturali.
Non mi pare infatti che gli stati strutturalmente “poco competitivi” degli u.s. stiano avendo grossi miglioramenti rispetto gli stati “forti”, come non mi sembra che l’economia di una regione del sud, grazie a questi trasferimenti, si stia avvicinando ai livelli del nord italia.
Io, per concludere, ho l’impressione che fare così (trasferimenti fiscali) sia l’equivalente di prendere l’aspirina per abbassare la febbre dovuta ad una setticemia. Certo, il sintomo si placa, ma non stai curando la causa del problema, piuttosto lo stai nascondendo.
Ringrazio anticipatamente per lo scambio di vedute.
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l’italia tutta è unita sotto il cappello dell’euro, chiaramente ci sono regioni italiane che hanno subito lo shock della crisi più di altre. dovremmo quindi applicare lo stesso meccanismo a cascata anche per le regioni italiane (geografiche o geoeconomicoporduttive che sia) ? grazie, Massimiliano
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Premesso che una vera assicurazione sulla disoccupazione sarebbe molto utile anche in Italia, la differenza fondamentale e’ la mobilita’. La moblita’ tra regioni italiane e’ molto piu’ forte di quella tra stati nazinali.
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non ritiene che anche un uso più efficace dei fondi strutturali e di investimento già esistenti nel bilancio comunitario potrebbe svolgere la stessa funzione redistributiva che lei immagina per un sussidio di disoccupazione gestito a livello federale? questi fondi potrebbero dare luogo a importanti azioni anticicliche e accelerare i processi di riconversione e ristrutturazione delle economie nazionali, garantendo – almeno potenzialmente – un intervento più strutturale e di più lungo periodo rispetto a quanto non possa fare un sussidio e senza le inevitabili rigidità e distorsioni che un meccanismo assistenziale recherebbe con sé. cosa ne pensa?
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In quanto “strutturali” questi fondi sono pensati per aiutare aree meno sviluppate, non per alleviare il ciclo economico. I tempi richiesti per un investimento sono tali (soprattutto in Italia) che gli investimenti tendono ad arrivare sempre troppo tardi per alleviare le crisi cicliche. Per questo c’e’ bisogno di stabilizzatori automatici, come l’assicurazione contro la disoccupazione.
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