“Pezo el tacon del sbrego” così in Veneto commentano l’intervento di Banca d’Italia ad autodifesa del proprio operato nei confronti della Banca Popolare di Vicenza. L’autodifesa è incentrata sull’ovvio fatto che Banca d’Italia non ha “nessun potere diretto sulla determinazione del prezzo delle azioni” e sulla lunga serie di ispezioni effettuate su Banca Popolare di Vicenza (BPV).
Siamo lieti di apprendere che Bankitalia non è stata inattiva. Ma questo invece che tranquillizzarci, ci preoccupa. Se dopo sette ispezioni non si è arrivati ad evitare che i risparmiatori vengano defraudati, o le ispezioni non funzionano o i vertici della banca non hanno preso provvedimenti adeguati alla situazione: tertium non datur.
Le informazioni contenute nelle precisazioni di Bankitalia ci fanno propendere per la seconda ipotesi.
Già nel 2001 le ispezioni avevano rilevato “l’assenza di criteri obiettivi per la determinazione del prezzo.” Poi nel 2007-2008 un’ispezione stabilì che “le modalità di determinazione del prezzo delle azioni, pur coerenti con lo statuto, fossero basate su prassi non codificate e valutazioni non rigorose e fossero prive del parere di esperti indipendenti.” Traducendo il linguaggio paludato di Bankitalia: il prezzo era assurdo. Ciononostante la BPV aumentava il prezzo di riferimento delle sue azioni ogni anno e continuava ad emettere azioni ad un prezzo che Bankitalia stessa definisce “non rigoroso.”
Tutto questo prima della crisi finanziaria. Poi viene la crisi, i valori di borsa delle banche crollano, ma non quelle di BPV, che continuano a salire. Fino a quando – dopo insistenze di Banca d’Italia – nel 2011 viene nominato un esperto indipendente. Da quel giorno la azioni non salgono più (e nel 2015 scendono). Questo significa che se la Banca d’Italia non avesse aspettato 10 anni, avrebbe potuto contenere molto di più la sopravvalutazione delle azioni BPV insistendo su una perizia indipendente. Aveva il potere di farlo, visto che nel 2011 lo ha fatto. Il problema è che ha aspettato 10 anni a farlo!
Ma la vera domanda – cui Banca d’Italia non risponde – è se in condizioni simili il trattamento riservato alla Banca di Spoleto (commissariata e venduta rapidamente) e alla Banca Popolare di Vicenza sia lo stesso. Se così non fosse, Bankitalia non sarebbe sola. Quasi tutti i regolamentatori – tanto in America quanto in Europa – tendono ad avere un occhio di maggior riguardo per le imprese regolate di maggiori dimensioni, con maggior influenza politica. Che questo comportamento sia diffuso, però, non lo rende giusto. Purtroppo, per stabilire se Bankitalia si sia comportata in modo imparziale bisognerebbe analizzare le risultanze delle ispezioni, che sono segrete.
Trattandosi di ispezioni ormai storiche, se Bankitalia non ha nulla da nascondere perché non le rende pubbliche? L’ufficio stampa di Banca d’Italia dichiara su twitter “siamo aperti ai giusti approfondimenti nei luoghi a ciò deputati, senza scorciatoie mediatiche e spettacolari.” Se rendere pubbliche le ispezioni passate viene considerata una “scorciatoia mediatica”, perché non accettare la mia proposta di una commissione composta da tre esperti nominati dal Parlamento?
E perché mai dovrebbe? Perché lo dice Zingales? Nelle sedi deputate mi pare una risposta sufficientemente chiara per tutti.
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