Cosa (non) cambierà, se Hillary Clinton diventerà presidente

Testo dell’intervista pubblicata sul Giornale di Sicilia il 28.07.2016

L’economista Zingales: «Obama lascia un Paese migliore di quello che ha trovato. C’è però un malessere diffuso nella classe media impoverita».
«Ma con Hillary nessuna vera svolta nella politica americana»

«Cosa cambierà, se Hillary Clinton dovesse diventare presidente? Temo niente!». Luigi  Zingales, l’economista italiano che insegna alla «Booth School of Business» dell’Università di Chicago, sta vivendo senza troppo entusiasmo «la stagione delle convention» negli Usa. Democratici a Philadelphia per incoronare l’ex senatrice dello Stato di New York, dopo che i repubblicani avevano fatto lo stesso con Donald Trump a Cleveland.

– Hillary Clinton, candidata della continuità?
«Nelle scelte di politica economica e politica estera Hillary Clinton non è molto diversa da Obama, né da George W Bush. L’unica cosa che cambierà veramente saranno i giudici della Corte suprema e quindi anche le decisioni sui diritti civili ed in particolare sui diritti delle donne, cui Hillary è molto sensibile. Ma Hillary Clinton non sembra essere molto sensibile all’impoverimento della classe media. Tanto che molti degli elettori di Sanders preferiscono non andare a votare piuttosto che votare per lei».

Disoccupazione in calo e Pil in aumento, ma anche stipendi che non crescono da anni e classe media in affanno. Obama lascia davvero in eredità un Paese che ha ormai alle spalle la crisi economica?
«In America gli effetti della crisi finanziaria del 2008 sono largamente superati, la disoccupazione è a livelli minimi ed entriamo nel settimo anno di crescita. Soprattutto vista dall’Italia, l’America sembra un sogno. Ma rimangono molti problemi strutturali, che predatano il 2008 e quindi non sono attribuibili ad Obama, ma che non sono stati ancora risolti. Tra i molti l’impoverimento relativo della classe media e l’aumento degli uomini al picco dell’età lavorativa che escono dalla forza lavoro, ovvero che hanno perso pure la speranza di trovare un lavoro. Ciononostante, Obama lascia un Paese migliore di quello che ha trovato».

– Nella convention repubblicana, Donald Trump ha affermato che «i redditi delle famiglie americane sono scesi e il debito nazionale raddoppiato». Argomenti da comizio?
«Nel suo discorso Donald Trump ha proiettato un’immagine eccessivamente cupa dell’America. Spesso lo ha fatto con un uso molto spregiudicato dei dati. Per esempio, è vero che il debito è raddoppiato in termini nominali, ma quello che conta è il rapporto tra debito e Pil e questo è salito “solo” dal 65 al 104 per cento. Per di più la forte crescita del debito è cominciata nel 2008-2009 a causa di una crisi finanziaria di cui Obama non è certo responsabile. Ma non tutto quello che dice è esagerato».

– Cioè?
«Lo sviluppo tecnologico e la globalizzazione hanno beneficiato molto di più alcuni che altri. Ad esempio, più del 50 per cento dei maschi americani non ha visto un aumento del proprio stipendio, in termini reali, negli ultimi 40 anni e questo rappresenta un problema. L’aspettativa di vita degli uomini bianchi ha smesso di crescere ed in alcune categorie è addirittura scesa. Questi sono segnali di un malessere diffuso e profondo».

– In un’intervista al “Giornale di Sicilia” l’ex capo della Associated Press in Italia, Victor Simpson, ha sottolineato come «sia colpa della propaganda politica se gli statunitensi pensano di stare male». Ha ragione?
«La propaganda politica sta esagerando sulla questione del crimine. Tranne Chicago e Baltimora, gli omicidi sono in netta diminuzione. Ma l’insoddisfazione della classe media è reale ed era stata ignorata fino ad ora. Un mio libro del 2012 che parlava di questi problemi fu largamente ignorato dal dibattito politico. E anche in questa campagna elettorale, se non fosse stato per Trump e Sanders, i problemi della classe media sarebbero stato ignorati».

– In Iraq e Siria, come altrove, gli Usa sono impegnati in costosissime missioni di guerra. Prevedibile un progressivo ritiro, anche solo per esigenze di bilancio?
«Sì e non solo per esigenze di bilancio, ma anche per un isolazionismo crescente negli Stati Uniti. Trump lo ha gridato alla convention: “America First”. Questo isolazionismo è sicuramente molto preoccupante per l’Europa. Se poi Trump dovesse diventare un alleato di Putin, per noi sarebbe un vero problema».

– Anni di recessione, ma anche di terrorismo e “sparatorie di massa”. Quanto e come è cambiato lo stile di vita americano?
«In eventi relativamente rari, come fortunatamente sono i crimini contro le persone, la gente reagisce più alle percezioni dei media che alla realtà. La città in cui vivo, Chicago, è molto violenta, ma per capire quanto lo fosse sono dovuto andare a vedere l’ultimo film di Spike Lee, perché la violenza è concentrata in alcuni quartieri. La violenza terroristica è disegnata per aumentare la percezione di insicurezza, quindi non stupisce che la gente reagisca di più di quello che dovrebbe».

– Quindi?
«Il rischio di morire in un attentato terroristico è minimo, ma non viene percepito come tale. Il rischio di morire in un incidente automobilistico è molto più elevato, ma non per questo evitiamo di guidare. Detto questo, non mi sembra che lo stile di vita in America sia cambiato. Gli americani sono solo più timorosi di viaggiare all’estero».

– Regno Unito, primo alleato europeo degli Stati Uniti. La “Brexit” imporrà un ripensamento dei rapporti con la UE?
«Non penso che gli Stati Uniti cambieranno la loro posizione nei confronti dell’Unione Europea a causa della Brexit. La mia preoccupazione è più come cambierà la UE senza il Regno Unito e come cambieranno i rapporti UE-USA se Trump dovesse essere eletto presidente».