Il nostro Far West finanziario attira solo i cowboy

Testo dell’articolo pubblicato il 30.07.2017 su “Il Sole 24 Ore”, nella rubrica “Alla luce del Sole”. 

Anche Flavio Cattaneo ha lasciato Tim, o meglio è stato accompagnato all’uscita a suon di milioni (si dice 25 milioni, ma per saperlo esattamente si dovrà aspettare il bilancio di fine anno).
Prima di lui era capitato a Marco Patuano nel 2016 (con una buonuscita di “solo” 7 milioni) e nel 2013 a Franco Bernabè (con una buonuscita di 6,6 milioni). Nel giro di quattro anni, ben tre cambi al vertice motivati da trasferimenti tra gli azionisti principali e tensioni con l’azionista. Oggi tutti urlano allo scandalo per una Tim francese, ma il vero scandalo è che una delle nostre principali aziende è stata mal gestita per decenni e oggi è solo l’ombra di quello che era.

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Si dirà che è colpa della privatizzazione e colpa del mercato. Certamente la privatizzazione è stata fatta male. Per massimizzare i ricavi, si ignorarono le caratteristiche del mercato italiano (che a differenza degli altri Paesi non possedeva una rete di tv via cavo) e non si separò la rete dal resto, sostituendo ad un monopolio pubblico un monopolio privato. Si privatizzò con l’obiettivo di mantenere l’azienda in mani italiane, invece che farla prosperare. La Nuovo Pignone fu venduta alla General Electric, e oggi è un’impresa molto più grande di quello che era all’epoca, che impiega più lavoratori in Italia di quelli che erano impiegati allora. A dimostrazione che non conta il passaporto dell’azionista di controllo, ma la sua capacità gestionale.

Quali sono le colpe del mercato? Il mercato non è un’entità astratta, ma un insieme di regole che disciplinano la libertà economica degli individui. Nella visione di Einaudi, la figura centrale del mercato sono i carabinieri che una volta presidiavano le fiere di paese. Se ci sono furti in fiera, non è colpa del “mercato”, ma dei carabinieri che non fano rispettare la legge.


Spetta alla Consob far rispettare le regole.
Perché ha aspettato tanto? 


Lo stesso vale nel nostro mercato azionario, dove la figura del carabiniere, però, è rimpiazzata da quella della Consob. Spetta alla Consob fare rispettare le regole, garantendo che le imprese siano gestite nell’interesse di tutti gli azionisti e non solo di chi ha più azioni. Uno dei principi fondamentali in questa supervisione è l’identificazione di chi in pratica controlla una società (il cosiddetto controllo di fatto). Dal 2003 il codice civile è molto chiaro su questo punto e – tra le altre condizioni – considera controllate “le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria” (articolo 2459). Non occorre essere un giurista per capire che Telecom prima e Tim poi erano controllate da Olimpia (Tronchetti Provera), Telco, e alla fine Vivendi (almeno da quando la società francese ha imposto la sua maggioranza del consiglio). Ma la Consob si è svegliata solo ora. Tanto che giovedì Vivendi ha “volontariamente” dichiarato la direzione e coordinamento di Tim, solo per evitare possibili sanzioni.

Perché la Consob ha aspettato così tanto? Perché una delle conseguenze della direzione e coordinamento (almeno in Italia) è il consolidamento dei bilanci. Olimpia e Telco avrebbero dovuto consolidare i bilanci, esponendo la reale quantità di debito in capo al gruppo. Ma altrettanto dovrebbe fare Mediobanca con Generali.
Il secondo punto dolente sono le operazioni con parti correlate. In Italia queste operazioni non sono l’anomalia, ma il modello di business. Per fortuna, dal 2010 esiste un regolamento che le disciplina, ma quante sanzioni ha comminato la Consob per farlo rispettare?


Non è colpa dello straniero. Siamo noi che dobbiamo far rispettare le regole. 


Il problema non è tanto il controllo di Tim da parte di uno straniero. Se lo straniero è come General Electric, ben venga. Il Regno Unito non “possiede” alcuna casa automobilistica, ma produce più automobili dell’Italia. Il problema è il controllo da parte di un finanziere spregiudicato che, con le nostre regole, potrà fare il bello e cattivo tempo. Ma non è colpa dello straniero, è colpa nostra che non facciamo rispettare le regole. Davigo ha scritto che se ci sono molti criminali rumeni nel nostro Paese, non è perché i rumeni sono più criminali degli italiani, ma perché nel nostro Paese è più facile delinquere impunemente, quindi attiriamo i criminali.
Un ragionamento analogo vale per il nostro mercato finanziario. Il nostro Far West attira solo spregiudicati cowboy. Ma la colpa è nostra, non dei cowboy.

(Luigi Zingales è stato dal 2007 al 2014 amministratore indipendente di Telecom)


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