Testo dell’articolo pubblicato il 20.12.2016 su “Il Sole 24 Ore”, nella rubrica “Alla luce del Sole”.
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha un sito web destinato ad attirare gli investimenti esteri in Italia (http://www.investinitaly.com/). Tra le iniziative promosse spicca il Global Roadshow, volto a spiegare “le politiche dell’Italia per l’attrazione degli investimenti esteri.” Il sito, però, specifica che “l’evento è su invito.” Forse per questo il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, discutendo dell’acquisto del 20% di Mediaset da parte del francese Bolloré, ha dichiarato che non è “il modo più appropriato di procedere per rafforzare la propria presenza in Italia.” Non era stato invitato.
Il governo e la nostra classe politica vogliono l’Europa e la globalizzazione “su invito”. Almeno quando si tratta dell’entrata nei salotti buoni, perché non c’è altrettanta simpatia per i lavoratori che si sentono minacciati dagli immigrati. Dopo Brexit, Calenda aveva affermato: “Quanto più <gli inglesi> regoleranno e limiteranno la presenza di cittadini comunitari nel Regno Unito, tanto più noi limiteremo la presenza di merci del Regno Unito in Europa.”
Passi per chi viene dai salotti buoni, dove si chiede permesso prima di entrare e dove si sta molto attenti a non offendere gli invitati, ma dove è lecito spellare il parco buoi degli azionisti. Ma come può tale posizione venire da un esponente di un partito che si definisce ancora di sinistra? Passi il nazionalismo economico di Salvini e quello di Fassina, almeno entrambi sono coerenti nel rifiutare il mercato in tutte le sue forme e metodi. Passi anche l’opposizione dell’ex Ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani: ha sempre dimostrato un amore personale per l’azienda del capo del suo partito. Ma come spiegarlo da parte di Carlo Calenda, esponente del PD e grande sostenitore del libero scambio? Quel Calenda che era stato uno strenuo sostenitore del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), un accordo che avrebbe severamente limitato la capacità degli stati sovrani di regolare le multinazionali. Proprio quella sovranità che Calenda implicitamente minaccia di usare contro Bolloré.
Se non bastassero i principi dell’Europeismo e del libero mercato, a convincerci che il governo debba accogliere di buon cuore qualsiasi investimento estero, c’è la natura dell’impresa oggetto di attenzione. Per decenni il PDS prima e il PD poi hanno (giustamente) combattuto l’anomalia italiana di un Presidente del Consiglio che controlla personalmente metà del mercato televisivo italiano. Ora che l’opportunità di sanare per sempre quest’anomalia si presenta su un piatto d’argento, uno dei suoi esponenti protesta nel silenzio generale del resto del partito?
Sia chiaro che in nessun modo voglio difendere Bolloré, uno spregiudicato finanziare che temo si comporterà in modo da far rimpiangere i capitalisti nostrani (che poco hanno da essere rimpianti). Ma difendo il principio di libera concorrenza. Non possiamo essere europeisti a giorni alterni. Non possiamo difendere la concorrenza e il mercato per gli altri e poi diventare protezionisti quando il mercato ci tocca direttamente. E penso che sia solo positivo che attività “strategiche” come la televisione siano in mano a non italiani. Almeno c’è una speranza che le nostre autorità si sveglino e facciano il loro dovere.
L’unica volta che la Consob di Vegas ha mostrato dei segni di vita è stato proprio quando Bolloré ha cercato di impadronirsi di Fonsai. Solo allora si sono ricordati delle regole del Testo Unico della Finanza. E guarda a caso l’Agcom si è svegliata solo ora, brandendo nientemeno che la legge Gasparri. A dimostrazione delle ferite profonde lasciate dal conflitto di interesse berlusconiano, la legge fatta su misura dal governo Berlusconi per l’azienda di famiglia torna comoda per difendere il patriarca.
Magari con uno “straniero” a capo di Mediaset, l’Agcom si ricorderà di far rispettare la par condicio, il Governo imporrà il limite di due reti televisive, e le frequenze per le televisioni saranno messe all’asta come quelle per i telefoni. Magari con uno “straniero” a capo di Mediaset diventiamo un Paese normale.
Qui la lettera del Ministro Carlo Calenda al Sole 24Ore in risposta al mio articolo.
Questa la mia replica al Ministro:
Ringrazio il ministro Calenda per le precisazioni, dalle quali emerge chiaramente come egli voglia sottoporre gli investimenti francesi a un test ulteriore rispetto a quelli italiani. Le «incursioni speculative» sono deleterie solo quando sono fatte dagli «stranieri»? Io auspico un sistema che tratti tutti ugualmente, sia che uno sia francese, sia che sia italiano, sia che sia l’ex presidente del Consiglio che il calzolaio dell’angolo. Il ministro la chiama ideologia, io lo chiamo un ideale meritevole di essere difeso. (L.Z.)
Qui gli altri articoli apparsi nella Rubrica “Alla Luce del Sole”.
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Suggerisco modestamente a Calenda e Zingales un modo imparziale e distaccato, il mio, di guardare alla situazione: questo è solo un caso particolare in cui i poteri politici sono il fattore che causa la prosperità o il fallimento di un attore del business (e le vostre argomentazioni sono, infatti, in questa direzione). Suggerisco, pertanto, un punto di partenza verso una convergenza effettiva nelle argomentazioni del ministro e del professore. Ecco, bisogna rendersi conto che sono disponibili strumenti legali internazionali e tutti devono lavorare sia per migliorare questi stessi strumenti che per renderli effettivi. In gioco vi è la comunità internazionale, se non la democrazia globale.
Spero che questo messaggio arrivi anche al ministro.
Macina
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Bravo Zingales! Solo che bisognerebbe farlo capire anche all’attuale Pres del Consiglio on. Paolo Gentiloni Silveri discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silveri, nobili di Filottrano Cingoli e Macerata e, imparentati con Vincenzo Ottorino Gentiloni quello noto, per Tre direttive, peggio dei Tre No di Khartoum : il finanziamento alle scuole private (prevalentemente cattoliche), l’impegno a non permettere l’introduzione del divorzio in Italia la giurisdizione separata per il clero e per l’omonimo patto che all’inizio del Novecento segnò lo SCIAGURATO ingresso dei cattolici nella vita politica italiana.
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