Raghuram Rajan: perché lo attaccano, perché deve restare

Articolo pubblicato l’11.06.2016 su “Il Sole 24 Ore”.
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In qualsiasi Paese al mondo, un banchiere centrale che in soli tre anni sia riuscito a ridurre l’inflazione dall’11% al 5%, al tempo stesso permettendo un aumento della crescita dal 5% all’8%, avrebbe garantita la riconferma. Non in India. Il governatore della Banca centrale indiana Raghuram Rajan, ammirato da tutti i media internazionali, è sotto pesante attacco nel suo Paese.

Io sarò anche prevenuto positivamente (Rajan è stato a lungo mio collega e co-autore), ma gli attacchi contro di lui sono assurdi. Viene accusato di non essere «mentalmente un indiano a pieno titolo» nonostante sia nato e cresciuto in India e a tutt’oggi abbia solo il passaporto indiano. Il motivo? Avendo lavorato per molti anni negli Stati Uniti, possiede il permesso di lavoro in America. Rajan viene anche accusato di appartenere al gruppo dei 30, che si occuperebbe «di difendere la posizione dominante degli Stati Uniti nell’economia globale» e di fare gli interessi della finanza internazionale. Proprio lui che nel 2005 aveva denunciato, di fronte ad un inviperito Alan Greenspan, allora chairman uscente della Federal Reserve, i potenziali effetti destabilizzanti dei derivati finanziari.

A peggiorare la situazione, ad accusarlo è Subramanian Swamy, dottorato in economia ad Harvard, ex ministro del Commercio, uno degli architetti del piano di liberalizzazioni realizzato in India ad inizio anni 90. Swamy lo accusa di aver tenuto troppo alti i tassi di interesse e, così facendo, aver «strangolato la piccole e medie imprese» e distrutto l’agricoltura.

Rajan sta combattendo non solo contro l’inflazione, ma anche contro l’inefficienza del sistema bancario, oberato dai crediti in sofferenza.

Perché cotanta rabbia? Col suo operato Rajan sta combattendo non solo contro l’inflazione, ma anche contro l’inefficienza del sistema bancario, oberato dai crediti in sofferenza. Il sistema bancario indiano è principalmente in mano pubblica ed è stato usato per finanziare quel capitalismo di relazione che per troppi anni ha imbrigliato il Paese. Finora le banche indiane erano vissute nell’illusione che tutti i debitori avrebbero prima o poi pagato, anche quando i debitori spesso prendevano a prestito da una banca per pagarne un’altra.

Come governatore Rajan ha giustamente deciso di forzare le banche a rientrare dai loro prestiti più dubbi, anche a costo di far emergere gravi sofferenze. Dal punto di vista economico è il momento migliore. Con un Paese che cresce all’8%, queste perdite possono essere facilmente assorbite dal sistema bancario. Se Rajan avesse fatto come la maggior parte dei banchieri centrali e avesse chiuso gli occhi, il problema si sarebbe posto solo in un momento di crisi economica, quando il meccanismo di «extend and pretend» (concedi un’estensione del credito e fai finta che il debitore sia solvente) diventa impossibile. Ma nei momenti di crisi, queste perdite rischiano di far crollare il sistema bancario (vedi caso italiano) e quindi l’intera economia viene paralizzata. Abbiamo visto il Giappone che, dopo la bolla di fine anni 80, ha impiegato quasi due decenni per liberarsi dalle sofferenze bancarie e risente ancora oggi delle conseguenze economiche di quella crisi.

Sono gli oligarchi indiani che avevano goduto del
credito facile, ad alimentare il dissenso.

Per quanto giusta, questa politica ha prodotto dei danni collaterali: i corsi azionari delle banche ne hanno risentito e ancora di più ne hanno risentito quegli oligarchi indiani che avevano goduto del credito facile. Sono loro ad alimentare il dissenso, anche perché Rajan ha avuto il coraggio di criticare pubblicamente i comportamenti di alcuni di loro.

In gennaio, proprio da Davos, Rajan ha rimproverato Vijay Mallya, proprietario della fallita compagnia aerea Kingfisher, che aveva festeggiato in maniera sontuosa il suo 60° compleanno, nonostante avesse debiti in sofferenza per 922 milioni di euro con 17 banche. «Se uno è in difficoltà finanziaria – ha dichiarato Rajan – dovrebbe ridurre le spese». E affinché non ci fossero dubbi sulle sue intenzioni, Rajan ha aggiunto: «Il sistema è distorto a favore di chi ha la capacità di difendersi in giudizio. La strategia di voi (grandi) imprenditori è di prendervi i profitti negli anni buoni per poi, negli anni cattivi, andare dalle banche e domandare una riduzione del debito».

Rajan rappresenta il sogno della nuova India: giovane, competente, è arrivato al vertice della Banca centrale indiana perché bravo, non perché politicamente allineato.

Nonostante gli attacchi, l’opinione pubblica è fortemente dalla parte di Rajan. Fino ad oggi il rinnovo al vertice della banca centrale era stato un argomento che interessava solo pochi insider, perché il governatorato era stato affidato a grigi burocrati che non avevano lasciato traccia. Rajan, invece, rappresenta il sogno della nuova India: giovane, competente, è arrivato al vertice della Banca centrale indiana perché bravo, non perché politicamente allineato. Da banchiere centrale non si è limitato a parlare di tassi di interesse e inflazione, ma si è occupato anche di corruzione e istruzione. Non a caso un sondaggio tra i lettori del principale giornale economico indiano ha riportato che l’87% vorrebbe la sua riconferma.

Entro fine agosto, il primo ministro indiano Narendra Modi dovrà decidere se riconfermarlo. Questa decisione è la cartina di tornasole del cambiamento in India. Da un lato l’India giovane, competente e meritocratica, che sta conquistando il mondo con il suo software ed i suoi prodotti, dall’altro l’India delle grandi dinastie politiche ed economiche, che hanno fondato il loro potere sulle connessioni politiche se non addirittura sulla corruzione, e che usano un falso senso di identità nazionale per proteggere il proprio potere in declino. A Modi la scelta.