Intervista, a cura di Carlotta Scozzari, pubblicata su “Repubblica” il 27 Giugno 2015.
Luigi Zingales, professore alla Chicago University, Telecom Italia la conosce bene. Ne è stato consigliere di amministrazione dal 2007 fino al 2014, quando è entrato nel cda dell’Eni [da cui di è dimesso, “per non riconciliabili differenze di opinione sul ruolo del consiglio nella gestione della società”, il 3 luglio 2015].
È trascorso più di un anno dalla sua uscita da Telecom. Ora può parlarne?
“Quando ero consigliere ho sempre rifiutato di parlarne ufficialmente o, peggio, ufficiosamente, anche quando internamente ero impegnato in dure battaglie. Anche dopo la fine del mio mandato mi sono astenuto da commenti. Ora mi sembra arrivato il momento giusto”.
Bolloré è un imprenditore noto per il suo approccio opportunistico. Serve più trasparenza su Vivendi.
Cosa pensa dell’arrivo dei francesi di Vivendi come soci di riferimento al posto degli spagnoli di Telefònica?
“Valuto positivamente l’uscita di Telefònica perché in Brasile, dove era concorrente di Telecom (che controlla Tim Brasil ndr), esisteva un conflitto di interessi forte che rendeva difficile ogni scelta. Quanto a Vivendi, credo vada chiarito se ci sono eventuali accordi che vincolano l’attività di Telecom in Brasile, cosa che riproporrebbe il conflitto. Non ho motivo di ritenere che sia così ma una maggiore trasparenza sarebbe utile”.
Cosa pensa di Vincent Bolloré, patron di Vivendi?
“È un investitore noto per il suo approccio opportunistico. Sicuramente Telecom è una società che ha delle potenzialità da sfruttare ma che ha risentito del fatto di non avere avuto, negli anni, soci stabili con una visione strategica”.
In che direzione va il settore delle telecomunicazioni europeo?
“Un consolidamento tra paesi è inevitabile. Ma il rischio è che Telecom diventi una pedina nel gioco altrui mentre 15 anni fa avrebbe potuto disputare la partita da protagonista”.
Un futuro matrimonio con Mediaset? Difficile mettere insieme due aziende con il business in crisi.
Qualcuno nei mesi scorsi ha ipotizzato un futuro matrimonio tra Telecom e Mediaset, società della famiglia Berlusconi, vicina a Bolloré…
“Il rischio sarebbe di mettere insieme due società con il loro mercato di riferimento in crisi. Il futuro della tv tradizionale a palinsesto è buio. Ma tutto cambierà con l’arrivo di Netflix, che creerà domanda di banda ultra larga”.
Il governo di Matteo Renzi come dovrebbe affrontare il tema della diffusione della rete in fibra ottica?
“Vedo negativamente un intervento diretto dello Stato. Per ovviare al problema delle aree dove non è economico far arrivare la rete, lo stato potrebbe offrire in modo competitivo dei contributi”.
Anche se non dovesse fare “da ponte” per una futura fusione con Mediaset, Vivendi resta un socio straniero e Telecom ha in pancia delle attività delicate come la rete in rame e i cavi sottomarini di Sparkle…
“Si parla di Europa unita: trovo assurdo fare differenze tra Italia e Francia”.
Per tutelare l’italianità di Telecom c’è chi pensa possa scendere in campo la nuova Cassa depositi e prestiti voluta dal premier Renzi. Che dice?
“Non vedo perché Cdp dovrebbe rilevare la rete in rame se non per fare un favore a Telecom strapagandola. Non vorrei fosse un modo per socializzare le perdite”.
A proposito di Cdp, come valuta la politica industriale di Renzi?
“Mi è piaciuto l’intervento sulle banche popolari. Trovo troppo timido quello sulle Fondazioni, anche se va nella giusta direzione. Per quanto riguarda il rinnovo in corso di mandato dei vertici di Cdp, da un lato, il Tesoro, socio di controllo, ha il potere di farlo, ma, dall’altro, dovrebbe spiegare il motivo. Il rischio, altrimenti, è che la mossa sia percepita come una manovra di potere. Urge, insomma, una spiegazione su quel che Renzi vuole fare della Cdp”.